La morte come compimento della vita
Una riflessione a partire dalla teologia di Karl Rahner
Molti sono gli spunti che inducono a riflettere sulla morte. E’ una riflessione antica quanto è antico l’uomo. La letteratura in tal senso è molto ampia e attraversa i secoli e la storia del pensiero umano. Molti filosofi si sono interrogati su questo tema, e di recente anche la teologia dogmatica se ne è occupata soprattutto da parte di autori cattolici e protestanti. Nelle loro opere, però, manca un discorso relativo alla dimensione morale del morire, si sottolinea il valore della vita umana e quindi la riflessione riguarda non tanto l’evento del morire in se stesso, ma piuttosto le condizioni particolari in cui esso avviene: morte per eutanasia, aborto, suicidio e così via.
Grazie a una delle opere di Karl Rahner “Il morire cristiano” cercheremo di vedere se sia possibile parlare di una dimensione morale del morire, di consapevole responsabilità che inerisce al morire della persona e sotto quale profilo si può parlare della partecipazione dell’uomo alla propria morte. Non è un tentativo di rendere la morte innocua o di strapparle il velo che le copre la faccia, ma cercare di riflettere sul fatto che ridare significato al morire arricchisce la vita stessa.
Pensare il morire un evento ancora in continuità con il vivere personale, sicuramente aiuterà a interrogarsi sulle ragioni del vivere.
Nel trattato di Rahner vedremo come la teologia della morte sia articolata in tre affermazioni dal significato profondo.
La prima affermazione prospetta “la morte come conclusione di una storia di libertà”. Non si può negare che la morte sia la fine della storia dell’uomo, della sua vita umana. In questo senso possiamo dire che l’uomo di fronte alla morte ha una funzione passiva, la morte lo coglie dall’esterno. Ma la stessa e unica morte è anche
«attivo compimento dall’interno, un attivo portarsi-a-compimento, generazione crescente e comprovante il risultato della vita e totale prendersi-in-possesso della persona, è un avere-realizzato-se-stessi e pienezza della realtà personale attuata liberamente».
Il morire è l’atto della vita che compie la vita e così raccoglie l’intero atto della vita.
La seconda affermazione presenta “la morte come manifestazione del peccato”. La morte è un evento che riguarda tutti gli uomini ed è una cosa naturale. La teologia cristiana la presenta come punizione del peccato (originale e personale) o come conseguenza del peccato. Tutto questo non va inteso nel senso che se l’uomo non avesse peccato non avrebbe conosciuto la morte come fine, ma nel senso che non avrebbe conosciuto questa morte misteriosa e oscura.
La terza affermazione vede “la morte come evento di salvezza”. Come occasione di unione con Cristo, il quale ha mutato la maledizione della morte in benedizione.
Questa varia e molteplice dialettica riguardante il morire, lascia emergere come tutto rimanga incomprensibile e misterioso o, come scrive Rahner «velato».
Il piccolo trattato di Rahner si divide in due capitoli: il primo riprendendo una celebre espressione di Carlo Magno si concentra sulla dimensione esistenziale del morire. Prima ancora della morte biologica l’uomo vive una dimensione di morte nell’esperienza della finitezza, nell’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’insuccesso e nelle mille figure di morte parziale.
Nel secondo capitolo traccia le linee di una teologia della morte. L’autore va oltre la letteralità dei testi neotestamentari e agli enunciati del magistero ecclesiastico rimanendovi comunque fedele cercando di integrarli in una comprensione unitaria di indagine filosofica-ontologica e di riflessione teologica.
Nel nostro percorso seguiremo la stessa scansione.