Il Dio accusato
la sapienza, la fede e il pentimento di Giobbe
Nell’Elaborato, a partire dalla riflessione biblica sul libro di Giobbe, si vuole comprendere il senso teologico della crisi della sapienza quando si lascia interrogare dall’esperienza del dolore innocente.
L’indagine, articolata in quattro capitoli, si muove tra «sapienza tradizionale» e «sapienza critica» che per G. Von Rad non sono che due aspetti della stessa ricerca, problematizzati a partire dalla «crisi della sapienza tradizionale».
Il primo capitolo ci introduce al dramma che ha colpito Giobbe, il protagonista dell’omonimo Libro (cc. 1–27). Elifaz, Bildad e Sofar rivestono un ruolo di accusa; gli schemi interpretativi dei tre amici hanno un ruolo fondamentale nella difesa della tesi tradizionale della retribuzione, ma sembrano non essere più validi quando la giustizia interroga la fede dell’uomo messo alla prova. Il contesto della letteratura mesopotamica ed egizia del Vicino Oriente Antico ci condurrà al tema del «giusto sofferente».
Attraverso pagine scelte del libro di Giobbe, nel secondo capitolo, a partire dall’interrogazione espressa in 28,12.20, si vuole indagare l’origine e il domicilio della sapienza: «Dove abita la Sapienza?», può la Sapienza portare Giobbe a Dio? Questa sembra essere una prima questione che subito ne introduce una seconda: il rapporto tra Dio e la Sapienza espressiva di 28,23-27. Una terza questione particolarmente sottolineata da M. Gilbert, si sofferma sul significato del v. 28: in quale contesto si parla qui di ḥokmāh? Segue uno studio comparativo con Pr 8,22-36a. In questo senso Gb 28 è uno stimolo per la riflessione sulla teologia della creazione, ripresa e ampliata nei due discorsi divini finali, dove Giobbe è ricondotto da Dio alla bellezza e all’ordine del creato (cc. 38–41).
Nel terzo capitolo affronteremo i lamenti e l’apologia di Giobbe (cc. 29–31), il primo discorso divino e la prima risposta di Giobbe (38,1–40,5). Il «giuramento di innocenza» (c. 31) apre alla considerazione del rapporto tra il protagonista e Dio: Giobbe si ritiene giusto, questa è la sua rivendicazione. Dio è allora colpevole? L’immagine di Dio, che a causa del suo dramma Giobbe sembra conservare solo come ricordo passato (c. 29), non coincide più con il suo presente (c. 30). È qui che «Giobbe accusa Dio» tanto da voler inscenare un rȋb e contendere con lui, forte del desiderio di comparire davanti a lui in giudizio… «L’Onnipotente mi risponda» (31,35). Ma è Dio che si rivela a Giobbe nel primo discorso divino (38,1–40,2) e lo sottopone ad un esame: «Io ti interrogherò e tu mi istruirai!» (38,3). Così nel terzo capitolo la riflessione sapienziale matura all’interno della triade di relazioni: Dio, uomo, mondo e animali (cc. 38–39). L.A. Schökel e L. Sicre Diaz si sono spinti a considerare l’esito positivo del dramma come una «rivoluzione copernicana» in quanto Giobbe è condotto fuori dal dolore di sé, fino alla contemplazione della natura e del creato. Giobbe arriva a capire che non può carpire il «progetto» di Dio e nemmeno la sua intelligenza può avere la pretesa di esaurirlo (38,4).
Se i primi tre capitoli della Tesi dimostrano l’insufficienza della teologia della retribuzione, il quarto apre al mistero divino. Affronteremo il secondo discorso di Dio e la seconda risposta di Giobbe. Il criterio di unitarietà dei due discorsi (cc. 38–41) ci dispone a comprendere sul loro conto gli aspetti contenutistici, redazionali, letterari, esegetici ed ermeneutici, quindi le principali problematiche da cui muove la critica letteraria.
Nel secondo discorso (40,6–41,26) Dio nuovamente prende parola e interroga Giobbe provocando una sua risposta: «Oseresti tu cancellare il mio giudizio, dare a me torto per avere tu ragione?» (40,8). «È il mistero di Dio al centro» (C. Lacher). La sofferenza del giusto non esclude la ribellione, ma Giobbe arriva al pentimento (c. 42).
A partire dalla lettura del Libro nella Sacra Scrittura, per quanto concerne il fine, la natura e il metodo di indagine dell’Elaborato, nel delineare le principali tappe di una riflessione biblico-teologica, si prediligerà l’esegesi sincronica. Il riferimento va agli studi esegetici di autori contemporanei che hanno messo in risalto le principali problematiche del genere sapienziale (G. Von Rad, L. Alonso Schökel, L. Sicre Diaz, M. Gilbert, L. Mazzinghi), della formazione del testo di Giobbe (G. Ravasi) e del contesto religioso (T. Jacobsen, F. Moore Cross).
Sono stati riscoperti nuovi approcci esegetici al testo di Giobbe: quello simbolico, particolarmente messo in evidenza da G. Borgonovo, lo studio del linguaggio poetico che chiede di essere compreso per l’ampio uso di metafore nel Libro. È largamente studiata infine da diversi autori l’ironia, ampiamente diffusa e che avrebbe un compito specifico nella comprensione del Libro.
Per molti esegeti, inoltre, l’obiettivo da perseguire è di comprendere come collocare Giobbe nella corrente sapienziale. Cercheremo perciò di situare il c. 28 nel contesto del Libro in cui la ricerca di Dio, oltre le umane aspettative della retribuzione, apre alla riflessione sapienziale.
Un criterio di guida per il nostro Elaborato è il Magistero. Il documento Fides et Ratio, in particolare al n. 81, invita a recuperare una dimensione sapienziale della vita. La Sacra Scrittura chiama [la filosofia] alla ricerca del «fondamento naturale» della «domanda di senso». Quest’ultimo, messo in «crisi» dalla rapidità dell’evoluzione tecnica e scientifica, è esposto alla «frammentarietà del sapere». Questa «pluralità del sapere» rende difficile la ricerca e talvolta alcune forme di pensiero minano la domanda di senso rifiutando qualsiasi riferimento al trascendente. Il rischio, dice Fides et ratio, è di affidarsi a criteri «strumentali» di ricerca che, «entro i limiti della propria immanenza», degradano la ragione e la stessa ricerca della verità. Delineando i «compiti attuali e le attuali esigenze» per la filosofia e per la teologia, la Parola di Dio impegna a rinnovare la coscienza dei valori ultimi, ordinando cioè l’universo tecnico e scientifico a un fine non meramente utilitaristico.
Se la Fides et Ratio mette in guardia dal razionalismo e dalle forme del nichilismo quale esito di un sapere eccessivamente razionale, separato ed estremo, chiama parimenti a recuperare una dimensione sapienziale non quale «alternativa» alla fede, ma quale dimensione che rispecchia un sapere organico e unitario, quindi anche «autenticamente religioso». La Spe Salvi «invita a considerare la preghiera, l’agire e il soffrire, il Giudizio, luoghi di apprendimento ed esercizio della speranza». Infine la Salvifici doloris intende penetrare il «senso salvifico della sofferenza» e come la Spe salvi interroga il «fondamento» della speranza cristiana (cfr. 1Pt 3,14-16).
Così cercheremo nell’Elaborato di mettere a fuoco la sapienza, la fede e il pentimento di Giobbe, tre «luoghi teologici» rivelativi della ricerca di senso che è la «religiosità costitutiva di ogni persona».
