Eutana-sia? Esiste un diritto alla morte per poter vivere?
Esiste un diritto alla morte per poter vivere?
La morte è parte della vita, e la vita è un percorso, una via, un cammino, di cui la morte è l’epilogo, il termine. L’avvio della vita non è nelle mani del suo titolare, perché ne è escluso in quanto investito a prescindere dalla sua volontà. La morte, invece, di fatto, è rimessa alla condotta del vivente. La cura della propria vita dipende, dunque, dalla vitalità dell’uomo, dalla sua capacità di esigere di vivere e di evitare di incorrere nella morte. Abbandonarsi ad azioni contro la propria vita significa, di fatto, decidere di morire. Se si opta per la vita, si decide per un cammino che non è sempre piano né ordinario e, piuttosto, soventemente esposto a difficoltà di ogni genere, a volte di portata limitata e di semplice gestione, altre di difficile sopportazione e di agognato superamento.
E se la sofferenza è quella fisica, anche per quest’ambito le strade sono sostanzialmente due: quella della sostenibilità, e quella della impraticabilità. Ma la soglia della sofferenza fisica sostenibile non può, di certo, considerarsi oggettivamente identificabile, perché ciascuno rivendica il proprio limite di sopportazione. Quel che è altrettanto ineludibile è che, però, se si diffonde l’idea di lottare contro qualsiasi avversità fisica, isolando la opzione della morte soltanto a circostanze di vacue e controriproducenti persistenze, allora il percorso della vita sarà inevitabilmente più lungo. C’è, allora, chi considera dignitosa la decisione soggettiva di porre termine alla propria vita in quanto stimata come non più sostenibile e chi, invece, lega la dignità alla persistenza nella vita.
E la disputa è tutta qui: cosa significa dignità?