Il medico: dalla professione alla missione
Riflessioni dopo quasi mezzo secolo di vita ospedaliera
L’intento della tesi è quello di sottolineare e riaffermare l’indifferibile necessità di ricreare una nuova humanitas nella medicina, ormai troppo vincolata da un tumultuoso progresso tecnico-scientifico che la porta verso uno strisciante scientismo di matrice positivista, facendole dimenticare la centralità dell’uomo, della Persona, come irrinunciabile protagonista nella prassi medica.
Oggi sull’altare dell’efficientismo e dell’ottimizzazione delle tempistiche si sacrifica il rapporto diretto con l’ammalato: il laboratorista lo conosce attraverso i parametri ematochimici, il radiologo mediante le immagini computerizzate di TAC e risonanza magnetica, il medico nucleare attraverso i riscontri scintigrafici.
Anche l’internista procede alla visita, valuta gli esiti delle indagini cliniche, prescrive la terapia, ma non ha a disposizione ulteriore tempo per interloquire col malato, in modo da creare un seppur minimo rapporto relazionale.
Perfino le discipline tradizionalmente incentrate sul contatto più profondo con il paziente (cioè quelle chirurgiche) si stanno gradualmente e inesorabilmente modificando. Già l’impiego della laparoscopia in qualche modo allontana il rapporto fisico tra le mani dell’operatore e gli organi ammalati: se poi pensiamo alla chirurgia robotica a distanza, si comprende come il distacco diventi clamoroso.
Se da un lato questa tendenza non va contrastata, perché la super- specializzazione comporta indubbi vantaggi per il paziente, dall’altro il “medico- missionario” – per usare una denominazione tanto diretta quanto oggi diventata obsoleta ma valida per esperienze particolari ‒ dovrebbe farsi convintamente carico di rinsaldare il legame psicologico ed empatico con chi soffre.
Partendo dalla diretta esperienza, con questo lavoro si intende argomentare a favore di una maggiore iscrizione della pratica medica entro una ben fondata e articolata visione dell’humanitas.
L’esperienza diretta, vissuta in prima persona nella professione medica, si palesa discretamente come l’intelaiatura narrativa
che sottende alle argomentazioni addotte nella tesi al fine di avvalorarne e sostenerne il punto di arrivo in ordine all’umanizzazione. Infatti, senza sottovalutare le implicazioni tecniche iscritte nella professione medica, ci si prefigge di sottolineare l’importanza di una più matura dialettica qualitativa tra tecnologie e humanitas.
Ciò giustifica anche il percorso antropologico-etico, in contrappunto con le tecniche per esplorare un possibile equilibro della professione medica tra competenze tecniche e preoccupazione umanistica.