Dom Helder Camara
La fede e l’impegno
L’elaborato approfondisce alcuni tratti dell’opera svolta da Dom Helder Camara, vescovo della città di Recife, nella chiesa brasiliana, caratterizzati da tre linee guida della sua esistenza: la speranza, la combattività e la profezia.
Nel primo capitolo viene ricordato l’impegno da lui profuso verso gli ultimi e le persone emarginate nonché la sua azione pastorale.
Dom Helder Camara nella storia del XX secolo ha costituito una vera e propria pedagogia della speranza per gli ultimi della terra, grazie al suo esempio di vita ed insegnamento. Con la sua lotta sociale ha dato la voce a chi la voce in Brasile ed in Sudamerica non l’ha mai avuta.
Sin da quando Dom Helder è stato ordinato vescovo nel 1952, ha profuso le sue energie pastorali per costruire una società più egualitaria ed una Chiesa più impegnata nei confronti dei poveri.
Il tema della speranza si rifletteva nella sua esperienza quotidiana con le classi popolari, con il clero, con l’esercito e le istituzioni.
Dai suoi numerosi scritti, citati nel primo capitolo, si delinea il ritratto di una persona con uno spirito molto contemplativo, attento ai problemi teologici che l’ingiustizia può alimentare, ma al tempo stesso molto concreto ed attivo.
Nel periodo trascorso a Rio de Janeiro (1936-1964) Dom Helder Camara ha fondato la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, perché persuaso dall’idea che i vescovi avrebbero potuto proporre dei modelli concreti per risolvere sia i problemi della Chiesa che i problemi economici e sociali del Brasile soltanto con una struttura organizzata e coesa. Secondo lui le linee guida dell’assemblea dei vescovi brasiliani dovevano essere le seguenti: a) attraverso l’assembla i vescovi si potevano conoscere meglio e costruire relazione più solide tra loro; b) attraverso un azione coesa era possibile incidere maggiormente nei programmi sociali sviluppati dal governo.
Sempre a Rio Dom Helder Camara organizzò nel 1955 il Congresso Eucaristico internazionale, che per l’epoca fu un evento grandioso e segnò anche la sua vita. Da quel momento in avanti, complici anche i colloqui intrattenuti con il cardinale francese Gerlier, dedicò, infatti, la sua esistenza al servizio dei poveri, tant’è che venne soprannominato il “vescovo delle favelas”. Cercò in primo luogo di trasferire gli abitanti delle favelas in alloggi in muratura per dare a loro un contesto di vita più dignitoso ed in secondo luogo di risolvere il problema alla radice, ovvero evitare che i contadini dalle zone rurali si trasferissero nelle grandi città.
La seconda parte del capitolo si occupa, invece, del periodo trascorso a Recife, iniziato nel 1964 con la sua nomina di arcivescovo di Olinda e Recife, che coincise con il colpo di stato militare dello stesso anno.
Sebbene i militari iniziarono a controllare la sua azione non si fece intimidire e continuò a difendere i più poveri, gli oppressi, gli esclusi ed i perseguitati politici, chiedendo a gran voce giustizia. Dom Helder Camara aveva tra i suoi ideali l’ecumenismo tra tutti i popoli, ponendo un’attenzione cristianamente universale a tutti i cittadini in eguale modo, che inaugurò un cammino di lotta e speranza per più di due decenni.
Complice un’inondazione, che distrusse nel 1965 moltissime abitazioni nella regione, riuscì a coinvolgere gli strati sociali più diversi per modernizzare le zone più disagiate e rurali e per introdurre una maggiore industrializzazione. Tale azione venne denominata Operazione Speranza. Vennero avviati numerosi progetti per garantire a tutti i bisogni primari e fondamentali (cibo e casa) nonché percorsi educativi e di formazione di manodopera, al fine di garantire il diritto fondamentale del lavoro. La filosofia operosa di Dom Helder prevedeva che l’emancipazione reale non potesse dipendere dai sussidi governativi. L’operazione Speranza riuscì a raggiungere anche le zone della canna da zucchero, dove le persone vivevano in condizioni lavorative al limite della schiavitù.
La speranza rivela anche il carattere combattivo del sacerdozio di Dom Hélder. Questa rivelazione avviene attraverso i diversi conflitti, sia religiosi che politici che l’arcivescovo ha affrontato nel corso della sua vita religiosa. Sia i militari che l’ala conservatrice della Chiesa vedevano in Dom Helder la principale guida della Chiesa cattolica in Brasile e, dato il grande rispetto per i suoi pronunciamenti, rispetto guadagnato grazie alla grande popolarità delle sue iniziative sociali, sia in Brasile che all’estero, iniziarono a temerlo e a metterlo in discussione. Dom Helder ha pagato un alto prezzo per la sua posizione progressista: l’ala progressista della Chiesa guidata da lui, dopo il 1964 è stata da subito oggetto di ogni tipo di attacco e tentativo di censura.
La combattività di Dom Helder gli permise di non fermarsi nonostante le numerose difficoltà. Argomento che viene trattato nel secondo capitolo.
Grazie al concetto di speranza cristiana, ecumenica e universale, l’arcivescovo di Olinda ricevette il favore della Chiesa di Roma che, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, riconobbe appieno i suoi sforzi e vide in lui un “fratello per i poveri”.
Nel periodo successivo al colpo militare Dom Helder fu un osservatore attento, non prese inizialmente posizione e con grande cautela osservava le intenzioni di coloro che stavano assumendo il potere. Allorquando Dom Helder si rese conto che il nuovo regime diventava sempre più totalitario e repressivo e che non aveva alcuna intenzione di intraprendere riforme per il lavoro e la popolazione più umile, lo contrastò apertamente sia in Patria che all’estero, mantenendo tuttavia una forma di dialogo con i militari e le altre parti della società.
Sebbene la posizione dell’arcivescovo si rivelasse sempre più scomoda per il governo militare, non venne mai trasferito e continuò la sua opera pastorale e la sua rivoluzione sociale nel territorio del Parnabuco, grazie anche all’appoggio che godeva in Paolo VI, che apprezzava il suo operato.
La Chiesa nel nordest del Brasile nei primi anni del governo militare si oppose fermamente al regime anche per concretizzare la sua dottrina sociale in una zona del paese che fin dagli anni 50 aveva subito un progressivo abbandono ed impoverimento.
A differenza dell’ala progressista del Nord Est, guidata da Dom Helder, la Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani durante il colpo di stato militare era però dominata dall’ala conservatrice e pubblicò un manifesto per sostenere l’esercito, visto come una forma di Provvidenza contro l’avanzare del comunismo. La seconda parte del secondo capitolo, si occupa quindi delle divergenze sorte all’interno della Chiesa brasiliana e del ruolo svolto dall’arcivescovo di Olinda, spesso avversato anche dal Tribunale del Santo Ufficio, che si interessava maggiormente delle questioni ideologiche, anziché prestare attenzione al lavoro sociale svolto.
I suoi principi e la sua condotta fraterna non si sono però mai scomposti. La purezza del suo pensiero in difesa delle sue idee e dei suoi principi ha lasciato l’impressione di una posizione radicale, spesso intransigente e di contrapposizione continua, con il governo e con la Chiesa. Ma la sua radicalità stava nella
preoccupazione di andare alle radici dei problemi che affliggevano il Brasile l’umanità. Non sognava soluzioni palliative; al contrario, aveva proposte, cambiamenti strutturali sulle politiche del lavoro e la gestione delle proprietà terriere, che avrebbero potuto contribuire a risolvere parte dei problemi cronici che avevano afflitto i poveri per anni, sia in Brasile che in altre parti del mondo considerate periferiche.
Il terzo capitolo dell’elaborato delinea, invece, la figura pastorale di Dom Helder Camara, ripercorrendo le tappe del suo vescovato (1964/1985).
Durante il Concilio Vaticano II il futuro Arcivescovo svolgeva un ruolo singolare. La sua partecipazione e la sua influenza, specialmente nella difesa delle cause legate alla povertà nell’America Latina, gli diedero una notorietà tale che egli iniziò ad essere riconosciuto come come “missionario del mondo, pellegrino della giustizia e della pace. Esercitando la missione di Segretario Generale della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB), il Concilio fu per lui un’ opportunità di prendere molti contatti con tutti gli episcopati del mondo al fine di promuovere la causa sociale brasiliana.
Un rapporto speciale di amicizia fu stabilito con quei vescovi che erano più sensibili ai problemi del cosiddetto terzo mondo. Da questa intesa, ncque così il famoso gruppo di vescovi di tutti i continenti che, subito dopo il Concilio Vaticano II, stipulano il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, rendendo esplicita l’opzione evangelica perseguita dalla Chiesa a favore dei poveri in un impegno pastorale che andava ben oltre i confini temporali del Concilio.
All’interno della diocesi Dom Helder portò avanti le sue idee pastorali: l’importanza del lavoro collegiale, la valorizzazione dei cristiani laici, l’evangelizzazione delle zone più povere, ispirando un’intera generazione di missionari.
Partecipò attivamente alla Commissione per Giustizia e Pace creata da Paolo VI e nel 1974,1977 e 1981 organizzò le assemblee pastorali arcidiocesane, coinvolgendo i settori parrocchiali ed i movimenti apostolici per approfondire la coscienza ecclesiale sui temi del Concilio Vaticano II, proponendo costantemente la ricerca della comunione di tutti gli uomini con Dio.
Il terzo ed ultimo capitolo termina con le conclusioni dell’autrice sui tratti della complessa e ricca esperienza pastorale e sociale di Dom Helder Camara.