Facoltà Teologica del Triveneto: Progetto THESIS Fttr

Tipologia Tesi: Laurea Magistrale in Scienze Religiose

  • Don Tonino Bello e Papa Francesco in nome dell’umanesimo

    E’ la figura di don Tonino Bello la genesi di questa tesi. Ciò che mi ha colpito di lui, leggendo la sua biografia, è la sua grande umanità, spesso, in questo mondo, invece dimenticata come cencio lacero e ormai inservibile, a cui viene sostituita la più accomodante bandiera del particolarismo e dell’egoismo. Così, infatti, viene […]

    E’ la figura di don Tonino Bello la genesi di questa tesi. Ciò che mi ha colpito di lui, leggendo la sua biografia, è la sua grande umanità, spesso, in questo mondo, invece dimenticata come cencio lacero e ormai inservibile, a cui viene sostituita la più accomodante bandiera del particolarismo e dell’egoismo.
    Così, infatti, viene descritto don Tonino Bello da un amico, Domenico Cives (in “Tonino Bello, un vescovo per amico”):
    …aveva uno strano modo di essere vescovo. Un vescovo che sconvolgeva la propria e le altrui etichette. Non era evanescente, non possedeva una lussuosa automobile le cui tendine avrebbero impedito sguardi indiscreti, ma si spostava con una vecchia Cinquecento. A tal proposito rammento un aneddoto riguardo la sua macchina: alla mia domanda “don Tonino, non chiudi la macchina?”Lui rispose “Cosa si devono prendere, il Vangelo?Magari!!!”… Non si sottraeva al contatto con la gente, anzi si offriva a tutti con entusiastica umanità. In cenno di saluto chinava il capo davanti al primo cittadino come al cospetto dell’ultimo mendicante. Considerava ogni uomo quale primus inter pares, dunque meritevole di attenzione…Che dire poi della sua decisione di aprire le porte dell’episcopo per accogliere e dare ospitalità ai disperati della città? Agli sfrattati, agli ubriachi, agli emarginati…Il suo motto era “Dobbiamo sforzarci di essere servi a tempo pieno, con efficacia e umiltà”
    Leggendo la sua storia ho notato una certa somiglianza con papa Francesco: entrambi, infatti, hanno sentito la necessità di abbandonare i segni del potere e di alimentare il potere dei segni, di edificare una “Chiesa grembiule”, colma di umanità e di prossimità con tutti, specialmente con i più deboli e i poveri, cioè gli ultimi. Don Tonino e anche papa Francesco nel loro operato, nelle loro omelie, nei loro scritti (che approfondirò ed esporrò in questa tesi) hanno compreso la necessità di leggere i segni del tempo e parlare il linguaggio dell’amore che Gesù ci ha insegnato: solo una Chiesa che si rende vicina alle persone e alla loro vita reale, infatti, pone le condizioni per l’annuncio e la comunicazione della fede. Ed è proprio questo atteggiamento che ha ispirato la riflessione del Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze: “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”.
    Papa Francesco, nel suo discorso alla Chiesa italiana al Convegno fiorentino, sottolinea come, per parlare di umanesimo, bisogna partire dalla figura di Gesù, scoprendo il Lui i tratti del volto autentico dell’uomo: “nel mistero del Verbo incarnato viene chiarito il mistero dell’uomo…Cristo, che è l’Adamo definitivo e pienamente riuscito, mentre rivela il mistero del Padre e del suo amore, pure manifesta compiutamente l’uomo all’uomo e gli rende nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes 22); “Chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diventa anche lui più uomo” (Gaudium et Spes 41).
    Gesù chiede di seguirlo, perciò di adottare un sentimento di umiltà: “Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso”(Fil 2,3) dice San Paolo ai Filippesi. Più avanti l’apostolo parla del fatto che Gesù non considera un privilegio l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio ben preciso: il seguire Gesù significa abbandonare l’ossessione di preservare la propria gloria, ma perseguire la gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme.
    Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse: “Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri”(Fil 2,4), dice ancora San Paolo. Perciò l’umanità del cristiano è autoreferenziale, non narcisistica. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Papa Francesco a tal proposito afferma di evitare di “rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli” (Evangelii Gaudium, 49).
    Un ulteriore sentimento di Gesù è quello delle beatitudini: il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino per giungere alla felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito.
    Umiltà, disinteresse e abitudine sono i tre tratti che per papa Francesco devono appartenere a una chiesa che mette al centro l’umanesimo.
    Solamente una chiesa che presenta queste caratteristiche delineate dal Papa potrà mettere in pratica le cinque vie, proposte dal V Convegno Ecclesiale, che portano alla realizzazione di un’umanità nuova. Queste sono: uscire (cioè aprirsi per liberare le comunità dall’inerzia strutturale e dalla semplice ripetizione di ciò cui siamo abituati, per far sì che i cambiamenti siano occasione di percorrere nuove strade, lungo le quali può scorrere l’annuncio del Vangelo); annunciare (rinnovare l’annuncio del Vangelo attraverso nuovi gesti e parole); abitare (per continuare ad essere “una Chiesa di popolo nelle trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese attraversa”, con l’invito più radicato a essere una Chiesa povera per i poveri); educare (richiede “la ricostruzione delle grammatiche educative ma anche la capacità di immaginare nuove forme di alleanza che superino una frammentazione insostenibile e consentano di unire le forze per educare all’unità della persona e della famiglia umana”); trasfigurare (ricorda che “la vita della pienezza umana mantiene in Gesù Cristo il compimento”).
    Il Vangelo si diffonde se gli annunciatori si convertono..Verifichiamo la nostra capacità di lasciarsi interpellare dall’esser-uomo di Cristo Gesù, facciamo i conti con la nostra distanza da lui, apriamo gli occhi sulle nostre lentezze nel prenderci cura di tutti e in particolare dei più piccoli di cui parla il Vangelo, ridestiamoci dal torpore spirituale che allenta il ritmo del nostro dialogo col Padre. E si potrà infine gustare la più alta misura dell’uomo arrivando a riconoscere il volto di Dio manifestandosi umanamente in Gesù Cristo e a capire fino in fondo il nostro essere uomini con le sue potenzialità e responsabilità.



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