Fragilità antropologica e inizio della vita umana
Riflessioni filosofiche e teologiche
La fragilità umana è solitamente correlata all’accezione negativa di manchevolezza e debolezza.
In prospettiva religiosa, inoltre, la parola fragilità viene colta principalmente nell’accezione morale di scarsa resistenza alle tentazioni e umana fallibilità, oltre naturalmente al suo significato di caducità e finitezza proprie dell’umano. Eppure il momento di massima fragilità nel quale e attraverso il quale inevitabilmente ciascuno di noi fa il suo ingresso nel mondo coincide anche con una meravigliosa quanto eccezionale potenzialità di vita; ciò costituisce un dato antropologico fondamentale e necessariamente condiviso. Il presente lavoro esplora l’ambivalenza dialettica della fragilità agli albori della vita umana, momento di straordinaria capacità vitale e di estrema vulnerabilità, cercando di propone una lettura in questa prospettiva anche nell’ambito dell’antropologia teologica.
Per delineare i tratti fondamentali della “fragilità” mettendone in luce le diverse sfumature in relazione all’umano, il lavoro prende le mosse da un’approfondita analisi etimologica e lessicale del termine. Questo presenta una ricca polisemia, solo apparentemente omogenea. La maggioranza dei significati in prima battuta risulta nettamente convergere sui noti caratteri di debolezza, labilità, inconsistenza, vulnerabilità e finitezza. Scavando più a fondo, tuttavia, è possibile scorgervi anche interessanti e meno consuete tonalità luminose che ne determinano gli aspetti di positiva e delicata preziosità. Praticamente assente risulta invece la voce “fragilità” dai lessici biblici e dai dizionari teologici, pur rappresentando un tema largamente frequentato nell’ambito dell’antropologia, anche se prevalentemente in prospettiva morale.
Il secondo capitolo entra nel merito della fragilità umana a partire da una semplice ma spesso dimenticata considerazione: la fragilità nella persona non è semplicemente una condizione determinata da avverse contingenze della vita, ma di essa costituisce uno dei suoi assi portanti a partire da quelle che sono le sue soglie: il nascere e il morire. Per mettere in rilievo gli elementi caratterizzanti della fragilità della vita nascente si sono utilizzati alcuni studi dedicati all’evento nascere e nascita in chiave prevalentemente antropologico-filosofica, nell’ottica di recuperarne successivamente le tracce anche in chiave biblico-teologica, ambito nel quale la riflessione risulta ancora carente.
Il terzo capitolo rappresenta il tentativo di rileggere in una prospettiva teologica alcuni brani biblici, alla ricerca di quei tratti caratterizzanti l’inizio fragile della vita umana nella sua radice di elevata capacità vitale ed effimera inconsistenza. Si è scelto di prendere in considerazione i racconti fondativi genesiaci della creazione anche se non trattano propriamente della vita piccola, perché nella nascita di “’adam” ogni vita umana può specchiarsi e teologicamente comprendersi in quelli che sono i suoi peculiari caratteri costitutivi. Nella fragilità creaturale di “’adam”, plasmato “polvere dal suolo” e vivificato dal “respiro di Dio”, parte e ospite dell’universo che lo circonda, si comprende la fragilità di ogni vita piccola, nel suo duplice volto di connaturata limitatezza e preziosa potenzialità vitale, costantemente esposta alla possibilità di frangersi. I racconti biblici della creazione si fanno portavoce di un appello vero ieri come oggi: è necessario riconoscere e prendersi cura di questo “limite costitutivo”, nostro, degli altri e del mondo; unica strada possibile per custodire il “prezioso” della fragilità rendendolo vitale in noi e tra di noi.
