Il gesto di Caino: fratellanza, invidia, violenza e responsabilità. Dall’esegesi biblica all’interpretazione psicoanalitica
Dall’esegesi biblica all’interpretazione psicoanalitica
È la violenza un aspetto peculiare e innato dell’animo umano? Veramente gli uomini sono incapaci di instaurare un rapporto di fratellanza? Leggendo racconti antichi si nota spesso che i fratelli vengono posti in situazioni conflittuali, quasi impossibilitati ad instaurare spontaneamente un rapporto pacifico: si osservi Seth che uccide il fratello Osiride secondo la mitologia egizia, Atreo e Tieste uccisero il fratello Crisippo generando un ciclo di violenze che si ripercossero nelle generazioni successive, Romolo e Remo nella fondazione di Roma. Caino e Abele si collocano in questa serie di fratricidi primordiali che segnano in profondità l’umanità.
L’emozione dominante in questo complesso di uccisioni è l’invidia: invidia nei confronti di un fratello più amato, nei confronti di un fratello che possiede delle doti o delle ricchezze in più, nei confronti di un fratello più docile. Desiderare di possedere qualcosa dell’altro, percepire una discrepanza o differenza rispetto a qualcuno che ti è simile (ad esempio un fratello), questa è la radice profonda dell’invidia. Coinvolti in queste relazioni problematiche tra fratelli vi sono spesso i genitori che possono alimentare la rivalità e a volte cooperare nel distanziamento dei figli. Invidia, collera e violenza tra loro sono collegate e producono una incapacità di relazione con l’altro, impossibilità comunicativa che genera distanza fisica e desiderio di annientamento del fratello.
