La collegialità episcopale e l’interazione strutturante: un paradigma ecclesiologico-giuridico
Il lavoro proposto intende mettere a tema alcuni spunti ecclesiologico-giuridici che possono emergere nello studio del percorso che va da Episcopalis Communio al recente Sinodo dei Vescovi (alla cui Assemblea generale di ottobre hanno preso parte come membri votanti anche 70 “non vescovi”). In quest’ottica, per recuperare una certa unitarietà delle dinamiche giuridiche interne al […]
Il lavoro proposto intende mettere a tema alcuni spunti ecclesiologico-giuridici che possono emergere nello studio del percorso che va da Episcopalis Communio al recente Sinodo dei Vescovi (alla cui Assemblea generale di ottobre hanno preso parte come membri votanti anche 70 “non vescovi”). In quest’ottica, per recuperare una certa unitarietà delle dinamiche giuridiche interne al Collegio episcopale, occorre inoltre mettere in relazione – concependoli come necessariamente e reciprocamente interrelati – i due momenti della “collegialità-evento” (la quale viene generalmente identificata con la venuta ad esistenza dell’episcopalis verus actus collegialis) e della “collegialità-processo” (che consiste nella tensione a realizzare la forma di interazione strutturante che sia la più adeguata al fine di assicurare la genuina custodia del depositum fidei mediante la solidale messa in atto di tutti i meccanismi utili a tradurre il sensus fidei in consensus fidei fidelium). Riteniamo che soltanto a partire da un’armonica composizione del polo “processuale” e del polo “evenemenziale” si renda effettivamente possibile raggiungere una adeguata comprensione ecclesiale del munus apostolico di diritto divino e dell’episcopalis verus actus collegialis. Riflettendo quindi sull’istituzione come istanza originaria di sviluppo organico, possiamo valorizzare un assunto centrale: come Cristo dà vita al “corpo” della Chiesa compaginando a sé l’umanità, così questa unione – operata dal suo Spirito – si manifesta e si struttura nella necessità di essere “rappresentata” a tutti i livelli. Ѐ su tale sfondo che può emergere quanto sia coerente ed attuale predicare dell’inveramento ecclesiologico della forma collegiale dell’Autorità ciò che la Nota esplicativa previa afferma a proposito della communio: “Per essa non s’intende un certo vago «affetto», ma una «realtà organica», che richiede forma giuridica e insieme è animata dalla carità” . Se dunque il discernimento di ciò che lo Spirito suggerisce alla sua Chiesa nel concreto della situazione storica è chiamato a realizzarsi attraverso un integrale procedimento ecclesiale a carattere articolato e complesso, teso alla crescita della comunione e allo sviluppo della missione, ciò significa che il momento istituzionale deve essere vissuto come intrinseco alla realizzazione di tale discernimento. Anche per quanto riguarda l’analisi della forma del collegium in riferimento al carattere di compattezza dei “Dodici” e al rapporto di successione che ad essi lega il corpus episcoporum, “carisma” e “istituzione” non vanno affatto contrapposti; e ciò a motivo dell’affermarsi di quella esigenza costitutiva che è la continuità della paradosis. In questo senso è interessante osservare, da un punto di vista metodologico, come l’elemento istituzionale si riveli “catalizzatore” delle notevolissime energie insite nella specificità di tutti quei carismi che vivificano la comunità cristiana : riteniamo sia questa la via per superare una spesso sterile ed ingiustificata contrapposizione tra elemento “dottrinale-carismatico” e “giuridico-istituzionale”.
