L’animalità evocante
Il presente lavoro si propone di gettare uno sguardo fenomenologico sul mondo animale, il quale potrebbe nascondere unʼopportunità per il mondo umano – distinzione in sé insussistente, poiché entrambi questi «mondi» devono in ultima istanza fare i conti con lʼunico mondo in cui si schiude la vita. Dal punto di vista ontologico, infatti, il mondo […]
Il presente lavoro si propone di gettare uno sguardo fenomenologico sul mondo animale, il quale potrebbe nascondere unʼopportunità per il mondo umano – distinzione in sé insussistente, poiché entrambi questi «mondi» devono in ultima istanza fare i conti con lʼunico mondo in cui si schiude la vita. Dal punto di vista ontologico, infatti, il mondo animale sembra essere il grande assente, assieme, per altro, al mondo vegetale ed a quello minerale. Preme quindi la domanda filosofica: è possibile unʼontologia integrale? Per i filosofi che verranno analizzati – Aristotele, Descartes, Heidegger e Lacan – la risposta risulta essere perentoriamente negativa, ed il tratto emergente da questi sistemi di pensiero sembra essere proprio la negatività, una negatività ontologica. Questa negatività ha fatto nascere, in altre parole, unʼontologia negativa, privativa: lʼanimale infatti viene sempre definito come il mancante di qualche cosa. Ma qui si percepisce una crepa, poiché la mancanza non è iscrivibile allʼanimale in termini assoluti (anzi!), ma prettamente relativi ad un paragone con lʼautodefinizione che lʼumano dà, di volta in volta, di se stesso.
