Parole di contestazione e parole di rivelazione
Giobbe e Dio a confronto
Consapevole che il libro di Giobbe è difficile e affronta molte tematiche, ho deciso di approfondirlo dal punto di vista della parola e del parlare. Il nome del protagonista, Giobbe, significa: «Dov’è il Padre?» e annuncia, da solo, il dramma successivo. Partendo dall’etimologia, dove l’ebraico «Giobbe» si scrive allo stesso modo della parola «nemico», anche se con una diversa vocalizzazione, Vignolo propone di sintetizzare così l’intera vicenda: «Sei tu, Dio, per me Padre o nemico? Oppure sarò io nemico per te? Perché, Dio, mi tratti come un nemico? Dovrò rinunciare alla tua paternità e invocare su di me quella della morte?».
Il tema del linguaggio, pertanto, è al centro del libro di Giobbe, poiché tutta la trama dell’opera ruota attorno alla sfida, che si fa parola, tra l’accusatore e il Signore. Il modo in cui il protagonista parla nella sua sofferenza rivela a Yhwh ciò che si cela nel suo cuore, la sua vera identità. Perciò il grande interrogativo che anima l’Elaborato è come Giobbe parla di Dio nel momento della tribolazione, se lo maledice o continua a benedirlo. Sull’orizzonte di questa domanda se ne pongono altre, perché ci si può anche chiedere come parlare di Dio alla persona che soffre.
Gli studi teologici svolti in questi anni, mi hanno fatto comprendere la grande responsabilità che i teologi hanno nel parlare di Dio. Come afferma K. Demmer,
ruotando il suo pensiero intorno a Dio, tutto ciò che il teologo dice sull’uomo e sull’agire morale è strappato a questo insondabile mistero. E tale atteggiamento lo accompagnerà per tutta la vita, l’ombra del dubbio continuerà a deporsi su ogni chiarezza tentatrice.
L’Elaborato è articolato in quattro capitoli, ognuno costituito da un’ampia parte esegetica riguardante uno o più brani biblici, innervata da riflessioni teologiche. Un’attenta esegesi ci consentirà di scoprire la presenza di diversi tipi di linguaggio, ognuno con un significato specifico.
Nel primo capitolo analizzo il monologo presente in Gb 3,1-26, con l’obiettivo di evidenziare le parole pronunciate da un uomo malato e distrutto dal dolore. Nel secondo capitolo approfondisco Gb 4,1-21 e 6,1-4.22-30, ponendo a confronto le parole degli amici (rappresentate da Elifaz) e quelle di Giobbe dinanzi al mistero della sofferenza. Nel terzo espongo l’intermezzo sapienziale riportato in Gb 28,1-28 e, infine, nel quarto presto ascolto a Gb 38,1-21; 40,1-14; 42,1-9 per esaminare la parola di Dio, che giunge al protagonista nella teofania, e il verdetto divino che pone fine alla disputa tra Giobbe e gli amici.
La metodologia adottata per lo studio dei testi biblici è sincronico-semantica, con alcuni approfondimenti in chiave simbolica. La ricerca si avvale inoltre di strumenti adeguati, quali commentari biblici, pubblicazioni bibliche e teologiche, nell’ottica di un confronto coerente e critico con gli Autori.
Il lavoro è contestualizzato nell’area tematica della teologia fondamentale: è a partire dalle domande sui fondamenti della propria fede (in primis la ricerca del volto di Dio, se è un Padre o un «aguzzino») e dalla contestazione delle formule stereotipate della tradizione che Giobbe, come l’uomo di ogni tempo, pone le basi per stabilire un rapporto autentico con il Signore. Attraverso questo itinerario conoscitivo, segnato dalla polarità tra ricerca della verità e senso di smarrimento, Giobbe riesce a passare da una conoscenza manualistica di Dio, «per sentito dire», all’incontro personale: «Ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5).
